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PAROLE DALL’ESILIO.
Quei segni aggrovigliati, quei filamenti colorati lasciati da un pennello troppo
carico di colore sulle superfici, incollate sui supporti, sembravano decorazioni nate dalla casualità.
Con queste opere più recenti si è fatta chiarezza: quei segni sono le reliquie di un discorso, il balbettio che
resta sulle labbra di chi muore che non sentiamo che non capiamo. Tutto si è chiarito perché fra le opere
c’è una Lettera per un amico, ci sono Tesori celati, ci sono Riflettendo e tante Aritmie, titoli che rivelano una simpatia dell’artista con il segno grafico.
Perché Polisca ha distribuito parole nei dipinti e nelle incisioni per una mostra ad Urbino? Perché è
stato allievo di quella Scuola del Libro dove la parola anticipava l’immagine, dove la parola ha potuto
sostituire lentamente il gesto di rabbia, di insofferenza, di dolore. La parola come segno della ragione
sull’istinto, la parola che si pone all’origine del gesto, che accompagna il gesto. Perché Polisca quando torna ad Urbino torna da un esilio volontario che lo ha reso più ricco e più disponibile ad accettare il fatto che non servono ripari all’esistenza e che è la vita il vero esilio che vale la pena di raccontare.
La parola è qualcosa che devi ascoltare, che mentre la leggi la ascolti, l’immagine è muta. Polisca con queste opere fa risuonare l’immagine e estenua nel silenzio le parole, lascia che su tutto si senta di ciascuno il battito del cuore, il ritmo spezzato del battito.
Silvia Cuppini

…….Una scrittura immaginaria, illeggibile se intesa quale successione di singoli caratteri, decifrabile se percepita come traccia grafica dell’emozione, si è assunta il compito di convogliare e donare senso allo scaturire della medesima energia che, secondo la riflessione dell’artista stesso, invade sempre più il mondo
contemporaneo assumendo le forme del caos. L’istinto viene viceversa immortalato da Polisca nel suo ricercare la parola ed il pensiero, e l’articolarsi del segno può avvenire lungo sequenze di linee simili a pentagrammi o, ancora più significativamente, imprimersi in superfici riflettenti: tanto per l’artista, quanto per chi la osserva, il piano dell’opera è un luogo dove poter riconoscere sé stessi e la propria storia.
Nicola Galvan

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